A CORTINA D’AMPEZZO LA PARITA’ DI GENERE AL CENTRO DEL DIBATTITO

A CORTINA D’AMPEZZO LA PARITA’ DI GENERE AL CENTRO DEL DIBATTITO

“Il ruolo delle donne nel processo rigenerativo e di rilancio complessivo del mondo intero è assolutamente fondamentale”: esordisce Linda Laura Sabbadini, Chair del W20 (engagement group del G20 che persegue l’obiettivo di una sostanziale parità di genere attraverso l’elaborazione di proposte indirizzate ai leader e alle leader mondiali, dal 13 al 15 luglio a Roma). Direttrice centrale ISTAT e Commendatore della Repubblica, Sabbadini è stata tra le relatrici degli incontri che il Cortina tra le Righe ha dedicato al femminile. Inteso, quest’ultimo, come potenzialità ancora inespressa, ostacolata com’è dalla mancanza di politiche adeguate che possano consentire un’equità di condizioni reale tra donne e uomini. I dati parlano chiaro: nella classifica mondiale relativa al divario di genere, oggi l’Italia è al 76° posto su 153 paesi.

Molte le linee d’azione per porre le donne al centro del cambiamento cui guarda il W20. “Tra queste assume ruolo fondamentale la medicina di genere, soprattutto in era pandemica” afferma Valentina Noce, componente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo, delegata Agorà della Commissione Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Forense e Chair della Commissione Diritti Umani e Uguaglianza di Genere della Venous-lymphatic World International Foundation con cui promuove un progetto educazionale sulla patologia venosa e il rischio trombotico insieme a dottoresse chirurghe e docenti universitarie di ogni parte del mondo. Espone dati che confermano il peggioramento della condizione delle donne, sia a livello di mancanza di chance lavorative e di carriera, sia a livello di salute e di benessere delle stesse e propone una riflessione sulla differenza salariale, “altra grave problematica della questione femminile, vera forma di discriminazione: la pandemia ha esasperato problemi già esistenti quali il Gender Pay Gap che, se a livello europeo è del 14% e su scala mondiale del 20%, in Italia sale addirittura al 20,9% nel privato (meglio nel pubblico: 4,1%).”

La storia delle donne nell’avvocatura esemplifica la mole di sforzi fatti per conquistare diritti che oggi sembrano scontati, e che sono ancora incompleti rispetto alla controparte maschile. Aurelia Barna, componente della Commissione Pari Opportunità Regionale del Friuli-Venezia-Giulia, ha ricordato quanto sia stata dura l’affermazione delle donne in questo campo. “La prima donna che si iscrisse all’albo nel 1883 venne addirittura cacciata: le donne non potevano esercitare la professione forense per natura e per il fatto che l’abbigliamento sotto la toga avrebbe potuto “distrarre”. Solo nel 1919, con la legge Sacchi, le donne hanno potuto finalmente iscriversi all’Albo ed esercitare. Il massiccio ingresso di donne nei tribunali si concretizza finalmente intorno agli anni 80-90; nel 2006, le donne avvocate sono il 46%”. Ormai da tempo la presenza femminile nell’Avvocatura ha superato il 50% e con la nuova Legge professionale del 2012 è finalmente divenuta visibile concretamente. Ma la strada è ancora lunga e tortuosa: Laura Massaro, responsabile del Dipartimento Pari Opportunità di Movimento Forense, sottolinea quanto “la discriminazione sia ancora un problema, considerato che le donne sono spesso costrette a scegliere tra la famiglia e la professione. Molte avvocate rimandano o, addirittura, evitano la gravidanza, temendo che essere meno presenti sul lavoro possa far perdere loro il posto; altre rinunciano al lavoro per mancanza di tutele di welfare”. Inoltre, se i dati ci consegnano l’immagine di un’avvocatura per la maggior parte “donna”, visto che più del 50% degli avvocati italiani appartengono al genere femminile, dall’altra parte ci indicano un’avvocatura femminile decisamente meno ricca di quella dei colleghi “uomini”. Tale discriminazione pone le professioniste avvocate in situazioni spesso di precarietà nel corso della loro carriera, ma ancor di più dopo il pensionamento, con un divario pensionistico di genere importante.”

Rosanna Rovere, componente dell’Ufficio di Coordinamento dell’Organismo congressuale Forense, guarda al futuro e sintetizza le istanze emerse dal confronto. “Le donne che sono arrivate in alto sono chiamate a fungere da ascensore sociale, e ad aiutare le colleghe a raggiungere le stesse posizioni”. Come costruire una società simile, più a misura di tutti, donne comprese? Sono necessarie “azioni dirette a superare il gap reddituale tra uomini e donne: introduzione del principio dell’equo compenso per le prestazioni professionali, agevolazioni finanziarie, strumenti di supporto al lavoro, ammortizzatori sociali, incentivi per la formazione. Saranno utili pure l’applicazione della disciplina sul legittimo impedimento, una regolamentazione del fenomeno della mono-competenza, l’individuazione di nuove professionalità”. E proprio di nuovi mestieri parla anche Silvia Cavallarin per il Gruppo Veritas, all’interno del quale ricopre il ruolo della Consigliera di fiducia: “una nuova figura professionale che interviene, nel rispetto della privacy, a risolvere casi di mobbing e discriminazione all’interno delle aziende e degli enti pubblici”.

Sandra Miotto, Consigliera regionale di parità del Veneto, porta la riflessione sul problema culturale ancora insoluto che sottende al “preoccupante aumento di casi di violenza domestica registrati durante la pandemia: un fenomeno che la situazione straordinaria di reclusione ha solo contribuito a rendere ancora più allarmante”.

Se – come tiene a puntualizzare Katia Pertini, responsabile della comunicazione in W20 – “non c’è bisogno di politiche di inclusione semplicemente perché le donne non sono soggetti svantaggiati, ma sono la metà del mondo e devono pretendere di partecipare alle dinamiche della società in condizione di parità rispetto all’altra metà, gli uomini”, si tratta di capire quali sono, allora, le politiche che occorrono. Un esempio, tra i recenti il più noto, è quello della legge Golfo-Mosca del 2011, che ha portato a un aumento considerevole della presenza delle donne in ruoli apicali: da un impercettibile 2-3% al 30% in pochi anni. Un risultato che conferma quanto ancora siano necessari interventi di tal genere (sebbene chiunque potrebbe concordare sulla desiderabilità di un sistema in cui strumenti come le quote rosa fossero superflui) perché la presenza femminile possa affermarsi in ogni ambito della vita sociale, lavorativa ed economica.

Una parità sostanziale è il cambiamento che vogliamo. Ci si chiede: quanto possono effettivamente incidere le donne con il loro comportamento e, prima ancora, con il loro atteggiamento e il loro pensiero, nella velocizzazione delle trasformazioni che tutti ci attendiamo? Il confronto aperto a Cortina tra le Righe 2021 ha fatto luce sul tratto di strada che ancora c’è da fare, a partire dall’educazione: esigenza particolarmente evidente nei paesi del sud del mondo, quelli visitati da Elisabetta Illy in qualità di Unido Goodwill Ambassador e fondatrice di Picture of Change. “Tuttora – spiega Illy – nei paesi in via di sviluppo, le ragazze si vedono precluse il diritto all’istruzione che le doterebbe, laddove garantito, dei mezzi necessari a portare avanti con maggiore consapevolezza una lotta culturale prima ancora che economica e sociale. Ciononostante, sono sempre di più le donne che desiderano studiare e credono che l’istruzione sia la chiave per costruire un futuro migliore”.

Stefania Lazzaroni, direttrice generale di Fondazione Altagamma, collega il tema della parità di genere a quello più ampio della sostenibilità: il vero “grimaldello” sul quale si è innescato con più forza il cambiamento in atto nelle aziende. Sostenibilità, infatti, non significa solo eticità e governance corretta ma anche inclusione e, soprattutto, rispetto. Così, le aziende stanno mutando molto rapidamente. Negli ultimi 7/8 anni anche in Italia si comincia a parlare di presenza femminile – anche se la legge Golfo-Mosca non sempre viene correttamente applicata. Siamo in un momento fertile, nonostante la pandemia e i suoi effetti negativi sul tasso di occupazione delle donne. Guardiamo al recente scandalo del sofa gate, che ha coinvolto Ursula von Der Layen: guardiamo a quanta indignazione ha suscitato. Solo una donna su dieci è parte dei consigli di amministrazione delle società quotate. Chiediamoci cosa perdiamo, in questo stato di cose. Gli studi più recenti rispondono: quasi il 10% del PIL italiano. Ciò significa che tutti siamo coinvolti, tutti subiamo le ripercussioni della disparità di trattamento fondata sul genere. E, se è vero che gli uomini devono cambiare, è vero anche devono essere aiutati a farlo”.

È necessario “mettere tutte le donne nella condizione di poter scegliere il proprio futuro, ma anche nella condizione di poter intervenire in maniera sensibile nella assunzione delle scelte strategiche per la nostra società ”– sottolinea Antonella Giachetti, presidente dell’Associazione Donne Dirigenti di Impresa. “AIDDA è un’associazione trasversale, sia dal punto di vista dimensionale sia merceologico. Rappresentiamo circa 35.000 addetti e 12 miliardi e mezzo di fatturato. Si pregia di essere, quest’anno, host organisation di W20. Nel 2015 si fece promotrice a Matera di un importante evento, poi portato anche al Padiglione Italiano, dal titolo Il ruolo del femminile nella definizione di un nuovo sistema economico. Due i focus point della crisi che allora furono individuati, ben prima che potessimo immaginarci la pandemia e il collasso del sistema che ha fatto seguito: la mancanza di valorialità femminile nella soluzione delle decisioni strategiche, e la mancanza di una visione sistemica della vita. Fino ad oggi l’attitudine femminile alla cura è stata relegata nell’ambito della famiglia e a carico della donna. Non ci sarà un futuro senza se la dimensione della cura non diventerà una dimensione antropologica, che permei ogni strategia anche nell’ambito della vita pubblica oltre che nell’ambito della vita privata. Questa trasformazione di paradigma di pensiero genererebbe automaticamente la risoluzione delle problematiche legate alla disparità di genere – dalla violenza di genere al gap salariale – realizzando il ricomporsi di un mosaico finalmente armonico”.

Anche secondo Elena Appiani, direttrice internazionale del Lions Club International e socia della Fondazione Belisario, è “essenziale puntare al Gender Balance, una situazione di equilibrio sostanziale in cui donne e uomini possano lavorare insieme e far convergere in progetti comuni talenti e attitudini diversi, per fare meglio le cose. Queste differenze sono da valorizzare, poiché è da esse che emergono diverse capacità, tra loro complementari. La stessa nostra associazione ha nominato per la prima volta, nell’anno nel centenario, una presidente internazionale donna, che ha portato come progetto pilota un programma intitolato New Voices, per dare voce – appunto – all’universo femminile e alle sue esigenze”. C’è da aggiungere che “qualche volta noi donne stiamo volontariamente un passo indietro: magari crediamo di non essere particolarmente preparate, di non essere adeguate a ricoprire certi ruoli. Cosa possiamo fare allora, in concreto? Possiamo progettare strategie di empowerment femminile, e puntare sulla possibilità di far crescere la cultura delle donne all’interno delle aziende e delle istituzioni. Formazione e crescita sono essenziali per diventare noi stesse più consapevoli del nostro potenziale”.

Così anche Mariolina Coppola, presidente di Soroptimist International Italia: “da anni Soroptimist Italia si occupa di un corso in Bocconi dedicato alla leadership femminile, per aiutare le giovani donne a fare il passo avanti che spesso le vede arrestarsi prima ancora di entrare davvero in competizione. Ma Soroptimist organizza anche corsi con Banca d’Italia dedicati all’alfabetizzazione finanziaria, la cui scarsa diffusione si collega alla violenza di genere contribuendo a minare l’indipendenza, anche economica, della donna”. È necessario cambiare paradigma, e cominciare a parlare il linguaggio della parità di genere fin dalle elementari, perché non si debba più lottare (banalmente) per farsi ad esempio chiamare direttrici. Gli stereotipi peggiori li hanno in questo senso, paradossalmente, proprio le donne che raggiungono posizioni apicali”.

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